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04/03/2013

h.21 Auditorium San Fedele

 

Discovery Night

Paesaggi Hyper-urban Utopie ambientali
Monolake (Gerhard Behles e Robert Henke)
Gobi: The Desert (1999)

Hyper-urban Landscapes
Burial
da Untrue (2007)
– UK
– Dog Shelter
– Etched Headplate
– In McDonalds
– Untrue
– Endorphin
– Near Dark
– Untitled
– Homeless

da Burial (2006)
– Untitled
– Night Bus
– Forgive

da Untrue (2007)
– Archangel

Interazione audiovisiva di Andrew Quinn

Interpretazione acusmatica: Giovanni Cospito e Dante Tanzi

 

Utopie ambientali – Monolake

La sigla Monolake nata a Berlino nei primi anni ’90 era inizialmente identificata in un duo formato da Gerhard Behles e Robert Henke, ma ora – dopo che il socio ha fondato una software-house che si occupa di programmi per fare musica – è portata avanti solo da Robert Henke. Saldamente inseriti nell’ambito della musica elettronica – la strumentazione usata da Henke è formata quasi esclusivamente da computer controllati da una console di sua creazione – i Monolake si contraddistinguono per una produzione molto raffinata e di alto livello che spazia da tracce trance/dub all’ambient più puro ed impalpabile, caratterizzato da un suono glaciale di raro e coinvolgente fascino.
Il viaggio musicale inizia con l’impressionante Gobi: The Desert, il loro disco di maggiore successo, una lunga suite che trasporta l’ascoltare in un mondo dagli spazi immensi e notturni, collocato in una remota regione nostalgica. L’andamento è lento e meditativo ed è caratterizzato da una sorta di granulizzazione dei suoni che richiama il verso notturno di grilli e cicale. Sopra questa polvere elettronica che tutto ricopre, si espande un drone ricorrente che amplifica gli spazi e la loro percezione, così che il deserto – quello figurato del titolo e quello sonoro – diventa spazio infinito. Gobi è un ottimo lavoro, notturno, contemplativo, con un fascino personalissimo e coinvolgente (Jazzer).

Paesaggi hyper-urban – Burial

Con un particolare missaggio di Untrue di William Bevan (alias Burial) inizia la seconda tappa, altra esplorazione dell’immaginario spaziale post-moderno, questa volta diretta però verso i più banali luoghi urbani, tuttavia trasfigurati da una densità espressiva che non si era forse mai vista nella musica elettronica degli ultimi 20 anni.
Musicista dell’underground UK, attivo dal 2005 ma preferisce rimanere nascosto, Burial con il suo secondo cd Untrue porta a destinazioni impreviste gli stilemi del nascente dubstep. Nel suo secondo Lp, Burial cerca di mettere a fuoco tutte le esperienze multiformi che hanno nutrito il fenomeno nell’arco di un anno: reinventa in qualche modo se stesso senza stravolgere ciò che aveva saldamente trasmesso nella prima prova, nel cd Burial. Andando così a cercare nuovi orizzonti di pace per tutto il movimento “breaks”.
Rimosso in parte quel substrato assordante di beat pachidermici, con Untrue Burial fortifica la propria vena melodica, inserendo in un contesto cyberpunk cori soul, campionamenti al telefono, impalpabili orientalismi strumentali, indecise divagazioni pseudo lounge paradossalmente accostabili alla house più deep, pescando anche nel 2-step/uk-garage dei Novanta. L’oscuro annichilimento lascia il posto a un quadro desolante in cui spunta sempre una piccola luce da inseguire.
Lo studio si allunga oltre i confini del ritmo fino a trattare il cantato come un effetto da manipolare a ogni frase. Odio e nuovo amore, attraverso uno scudo di pulsazioni dub, tastiere sacre, scenari arcaici. Si diceva prima dei ritmi che Burial riesce a comporre, è forse questo il gradino che ancora lo separa stilisticamente dai tanti.
Il ragazzo afferma che gli piacciono tanto i beat storti, che si diverte a giocarci, e in questo gioco finisce per accavallare e fondere idee distanti. Spinge ancora più in verticale la sua proposta, che si ridefinisce in mille strati non certo pressati ma lasciati liberi di toccarsi e allontanarsi, creando ambienti sonori affascinanti e nebulosi.
Burial riesce finalmente ad aprirsi, l’oscurità dell’esordio si è fatta meno fitta, sia sull’uomo sia su ciò che vuole dirci. Ma Untrue è un disco che va ben presto oltre le stesse intenzioni di William, diventando negli anni successivi il manifesto di un nuovo percorso, il riferimento supremo della dubstep che punta al “pop”, finanche a certo r’n’b.