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14/04/2012

h.17 Auditorium San Fedele

 

Spazi, Parole and Suoni – L’opera di Annette Van De Gorne

Annette Vande Gorne
Crise (estratto da Folie de Vincent) (1984) 5’ stereo
musica per lo spettacolo Sulphur Sun di Philippe Marannes, per sintetizzatore analogico VCS3

Figures d’espace (2004) 12’43 stereo – Vide et Plein
Texture
ritournelle 1
Vagues
ritournelle 2 – Contrastes
ritournelle 3

Ce qu’a vu le vent d’Est (2003) 8’, per ottofonia a diamante

Yawar Fiesta (2006-2012) 30’
Opera acusmatica su un libretto di Werner Lambersy (estratti), 7.1

Interpretazione acusmatica: Annette Vande Gorne

 

Annette Vande Gorne propone quattro lavori come sintesi del suo linguaggio musicale. Tradizionalmente la musica è un’arte astratta e allo stesso tempo espressiva. La compositrice belga cerca di introdurre l’espressività nella musica tecnologica. Anche lo spazio diventa un elemento essenziale del suo comporre, appunto un elemento astratto ed espressivo
Il brano Crise, composto In occasione di due spettacoli teatrali, “Enrico IV” di Pirandello e “Sulphur sun” di P. Marannes su Van Gogh, esprime diversi stati di follia attraverso i personaggi: grido, rivolta, illusione, fuga, confusione ecc. I mezzi tecnici sono ridotti, il materiale povero e spoglio. Tutto sta nel gesto quasi improvvisato, sentito come un’identificazione psicologica ai diversi stati dei personaggi. Il musicista diventa attore.
Figures d’espace, dedicato a Claude Lenners, comporta sette parti e affronta la tematica dello spazio. Ogni parte domanda un’implicazione profonda dell’interprete alla console, un certo virtuosismo. Il brano è stato pensato come un gesto strumentale, in riferimento a figure spaziali che condizionano la risposta gestuale dell’interprete.
Ce qu’a vu le vent d’Est è un brano funebre per le vittime civili delle guerre ideologico-economiche e fa riferimento alla scrittura così ricca e sorprendente di Debussy. Per esempio, si possono ascoltare ripetizioni di piccoli frammenti spesso trasposti, con o senza variazione di velocità oppure colorati a ogni apparizione, contrasti dinamici, cambi di tempo bruschi, opposizioni di masse sonore, di movimenti (come in Debussy in: Dialogue du vent et de la mer, Ce qu’a vu le vent d’Ouest, oppure Jeu).
Inoltre, c’è un rapporto particolare con la natura come modello e generatrice di movimenti energetici e di spettri sonori. Il musicista tenta di fare una trasposizione dell’energia che agita i fenomeni naturali. Anche Debussy diventa qui modello di attitudine energetica e musicale, riferimento stilistico e pretesto di dialogo. Il brano talvolta lascia passare qualche reminiscenza di Debussy. Forse, cento anni dopo, Debussy avrebbe partecipato all’avventura elettroacustica, integrando così lo spazio come parametro musicale.
Yawar Fiesta più che un’opera elettroacustica è la drammatizzazione di un testo reso dinamico mediante le figure spaziali. La musica tecnologica ritrova un legame con la tradizione del bel canto. Il libretto si rifà al rituale della tragedia greca, emergono i conflitti, simili a quelli interiori, a quelli sociali, simboleggiati dalla lotta tra un condor e un toro durante la festa del sangue in alcuni villaggi andini. Come il conflitto tra povertà e potere del denaro, oppure quello che oppone il desiderio alla volontà di potenza. Il capo degli indiani personifica la saggezza spirituale la cui forza vince sempre sulle contingenze materiali, politiche ed economiche. Il lamento del coro di donne indiane conserva alcune caratteristiche dell’intonazione cantata, del vibrato, dei suoi timbri, in modo di esprimere il lamento universale delle madri impotenti davanti all’ingiustizia. Il coro delle donne borghesi dell’atto II si impone per drammaticità e lirismo. Questo porta a una scrittura complessa che associa spazi, energie, forme e colori armonici. Nel monologo finale si intrecciano due voci interiori e contraddittorie che stanno in noi : quella del potere pronta a schiacciare e quella della leggerezza dell’essere spirituale.